Lo Psicologo è un professionista laureato in Psicologia, abilitato alla professione ed iscritto ad un apposito Albo Professionale. Lo psicologo può fare diagnosi, valutazioni, e realizzare interventi di consulenza e prevenzione.
Lo psicologo nè prescrive farmaci né può svolgere una psicoterapia. Ciò che differenzia principalmente una consulenza psicologica da una psicoterapia è il fatto che la consulenza si focalizza su un problema specifico della persona, mentre la psicoterapia ha un raggio d’azione più ampio.
Codice Deontologico Degli Psicologi Italiani
Testo approvato dal Consiglio Nazionale dell’Ordine nell’adunanza del 23/09/2006
Capo I – Principi generali
Articolo 1
Le regole del presente Codice deontologico sono vincolanti per tutti gli iscritti all’Albo degli
psicologi.
Lo psicologo è tenuto alla loro conoscenza, e l’ignoranza delle medesime non esime dalla
responsabilità disciplinare.
Articolo 2
L’inosservanza dei precetti stabiliti nel presente Codice deontologico, ed ogni azione od
omissione comunque contrarie al decoro, alla dignità ed al corretto esercizio della professione,
sono punite secondo quanto previsto dall’art. 26, comma 1°, della Legge 18 febbraio 1989, n.
56, secondo le procedure stabilite dal Regolamento disciplinare.
Articolo 3
Lo psicologo considera suo dovere accrescere le conoscenze sul comportamento umano ed
utilizzarle per promuovere il benessere psicologico dell’individuo, del gruppo e della comunità.
In ogni ambito professionale opera per migliorare la capacità delle persone di comprendere se
stessi e gli altri e di comportarsi in maniera consapevole, congrua ed efficace.
Lo psicologo è consapevole della responsabilità sociale derivante dal fatto che, nell’esercizio
professionale, può intervenire significativamente nella vita degli altri; pertanto deve prestare
particolare attenzione ai fattori personali, sociali, organizzativi, finanziari e politici, al fine di
evitare l’uso non appropriato della sua influenza, e non utilizza indebitamente la fiducia e le
eventuali situazioni di dipendenza dei committenti e degli utenti destinatari della sua
prestazione professionale.
Lo psicologo è responsabile dei propri atti professionali e delle loro prevedibili dirette
conseguenze.
Articolo 4
Nell’esercizio della professione, lo psicologo rispetta la dignità, il diritto alla riservatezza,
all’autodeterminazione ed all’autonomia di coloro che si avvalgono delle sue prestazioni; ne
rispetta opinioni e credenze, astenendosi dall’imporre il suo sistema di valori; non opera
discriminazioni in base a religione, etnia, nazionalità, estrazione sociale, stato socioeconomico,
sesso di appartenenza, orientamento sessuale, disabilità.
Lo psicologo utilizza metodi e tecniche salvaguardando tali principi, e rifiuta la sua
collaborazione ad iniziative lesive degli stessi.
Quando sorgono conflitti di interesse tra l’utente e l’istituzione presso cui lo psicologo opera,
quest’ultimo deve esplicitare alle parti, con chiarezza, i termini delle proprie responsabilità ed i
vincoli cui è professionalmente tenuto.
In tutti i casi in cui il destinatario ed il committente dell’intervento di sostegno o di
psicoterapia non coincidano, lo psicologo tutela prioritariamente il destinatario dell’intervento
stesso.
Articolo 5
Lo psicologo è tenuto a mantenere un livello adeguato di preparazione professionale e ad
aggiornarsi nella propria disciplina specificatamente nel settore in cui opera. Riconosce i limiti
della propria competenza ed usa, pertanto, solo strumenti teorico-pratici per i quali ha
acquisito adeguata competenza e, ove necessario, formale autorizzazione.
Lo psicologo impiega metodologie delle quali è in grado di indicare le fonti ed i riferimenti
scientifici, e non suscita, nelle attese del cliente e/o utente, aspettative infondate.
Articolo 6
Lo psicologo accetta unicamente condizioni di lavoro che non compromettano la sua
autonomia professionale ed il rispetto delle norme del presente codice, e, in assenza di tali
condizioni, informa il proprio Ordine.
Lo psicologo salvaguarda la propria autonomia nella scelta dei metodi, delle tecniche e degli
strumenti psicologici, nonché della loro utilizzazione; è perciò responsabile della loro
applicazione ed uso, dei risultati, delle valutazioni ed interpretazioni che ne ricava.
Nella collaborazione con professionisti di altre discipline esercita la piena autonomia
professionale nel rispetto delle altrui competenze.
Articolo 7
Nelle proprie attività professionali, nelle attività di ricerca e nelle comunicazioni dei risultati
delle stesse, nonché nelle attività didattiche, lo psicologo valuta attentamente, anche in
relazione al contesto, il grado di validità e di attendibilità di informazioni, dati e fonti su cui
basa le conclusioni raggiunte; espone, all’occorrenza, le ipotesi interpretative alternative, ed
esplicita i limiti dei risultati. Lo psicologo, su casi specifici, esprime valutazioni e giudizi
professionali solo se fondati sulla conoscenza professionale diretta ovvero su una
documentazione adeguata ed attendibile.
Articolo 8
Lo psicologo contrasta l’esercizio abusivo della professione come definita dagli articoli 1 e 3
della Legge 18 febbraio 1989, n. 56, e segnala al Consiglio dell’Ordine i casi di abusivismo o di
usurpazione di titolo di cui viene a conoscenza.
Parimenti, utilizza il proprio titolo professionale esclusivamente per attività ad esso pertinenti,
e non avalla con esso attività ingannevoli od abusive.
Articolo 9
Nella sua attività di ricerca lo psicologo è tenuto ad informare adeguatamente i soggetti in
essa coinvolti al fine di ottenerne il previo consenso informato, anche relativamente al nome,
allo status scientifico e professionale del ricercatore ed alla sua eventuale istituzione di
appartenenza. Egli deve altresì garantire a tali soggetti la piena libertà di concedere, di
rifiutare ovvero di ritirare il consenso stesso.
Nell’ ipotesi in cui la natura della ricerca non consenta di informare preventivamente e
correttamente i soggetti su taluni aspetti della ricerca stessa, lo psicologo ha l’obbligo di
fornire comunque, alla fine della prova ovvero della raccolta dei dati, le informazioni dovute e
di ottenere l’autorizzazione all’uso dei dati raccolti. Per quanto concerne i soggetti che, per età
o per altri motivi, non sono in grado di esprimere validamente il loro consenso, questo deve
essere dato da chi ne ha la potestà genitoriale o la tutela, e, altresì, dai soggetti stessi, ove
siano in grado di comprendere la natura della collaborazione richiesta.
Deve essere tutelato, in ogni caso, il diritto dei soggetti alla riservatezza, alla non
riconoscibilità ed all’anonimato.
Articolo 10
Quando le attività professionali hanno ad oggetto il comportamento degli animali, lo psicologo
si impegna a rispettarne la natura ed a evitare loro sofferenze.
Articolo 11
Lo psicologo è strettamente tenuto al segreto professionale. Pertanto non rivela notizie, fatti o
informazioni apprese in ragione del suo rapporto professionale, né informa circa le prestazioni
professionali effettuate o programmate, a meno che non ricorrano le ipotesi previste dagli
articoli seguenti.
Articolo 12
Lo psicologo si astiene dal rendere testimonianza su fatti di cui è venuto a conoscenza in
ragione del suo rapporto professionale.
Lo psicologo può derogare all’obbligo di mantenere il segreto professionale, anche in caso di
testimonianza, esclusivamente in presenza di valido e dimostrabile consenso del destinatario
della sua prestazione. Valuta, comunque, l’opportunità di fare uso di tale consenso,
considerando preminente la tutela psicologica dello stesso.
Articolo 13
Nel caso di obbligo di referto o di obbligo di denuncia, lo psicologo limita allo stretto
necessario il riferimento di quanto appreso in ragione del proprio rapporto professionale, ai fini
della tutela psicologica del soggetto.
Negli altri casi, valuta con attenzione la necessità di derogare totalmente o parzialmente alla
propria doverosa riservatezza, qualora si prospettino gravi pericoli per la vita o per la salute
psicofisica del soggetto e/o di terzi.
Articolo 14
Lo psicologo, nel caso di intervento su o attraverso gruppi, è tenuto ad in informare, nella fase
iniziale, circa le regole che governano tale intervento.
È tenuto altresì ad impegnare, quando necessario, i componenti del gruppo al rispetto del
diritto di ciascuno alla riservatezza.
Articolo 15
Nel caso di collaborazione con altri soggetti parimenti tenuti al segreto professionale, lo
psicologo può condividere soltanto le informazioni strettamente necessarie in relazione al tipo
di collaborazione.
Articolo 16
Lo psicologo redige le comunicazioni scientifiche, ancorché indirizzate ad un pubblico di
professionisti tenuti al segreto professionale, in modo da salvaguardare in ogni caso
l’anonimato del destinatario della prestazione.
Articolo 17
La segretezza delle comunicazioni deve essere protetta anche attraverso la custodia e il
controllo di appunti, note, scritti o registrazioni di qualsiasi genere e sotto qualsiasi forma, che
riguardino il rapporto professionale.
Tale documentazione deve essere conservata per almeno i cinque anni successivi alla
conclusione del rapporto professionale, fatto salvo quanto previsto da norme specifiche.
Lo psicologo deve provvedere perché, in caso di sua morte o di suo impedimento, tale
protezione sia affidata ad un collega ovvero all’Ordine professionale.
Lo psicologo che collabora alla costituzione ed all’uso di sistemi di documentazione si adopera
per la realizzazione di garanzie di tutela dei soggetti interessati.
Articolo 18
In ogni contesto professionale lo psicologo deve adoperarsi affinché sia il più possibile
rispettata la libertà di scelta, da parte del cliente e/o del paziente, del professionista cui
rivolgersi.
Articolo 19
Lo psicologo che presta la sua opera professionale in contesti di selezione e valutazione è
tenuto a rispettare esclusivamente i criteri della specifica competenza, qualificazione o
preparazione, e non avalla decisioni contrarie a tali principi.
Articolo 20
Nella sua attività di docenza, di didattica e di formazione lo psicologo stimola negli studenti,
allievi e tirocinanti l’interesse per i principi deontologici, anche ispirando ad essi la propria
condotta professionale.
Articolo 21
Lo psicologo, a salvaguardia dell’utenza e della professione, è tenuto a non insegnare l’uso di
strumenti conoscitivi e di intervento riservati alla professione di psicologo, a soggetti estranei
alla professione stessa, anche qualora insegni a tali soggetti discipline psicologiche.
È fatto salvo l’insegnamento agli studenti del corso di laurea in psicologia, ai tirocinanti, ed
agli specializzandi in materie psicologiche.
Capo II – Rapporti con l’utenza e con la committenza
Articolo 22
Lo psicologo adotta condotte non lesive per le persone di cui si occupa professionalmente, e
non utilizza il proprio ruolo ed i propri strumenti professionali per assicurare a sè o ad altri
indebiti vantaggi.
Articolo 23
Lo psicologo pattuisce nella fase iniziale del rapporto quanto attiene al compenso professionale
in ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al
decoro della professione.
In ambito clinico tale compenso non può essere condizionato all’esito o ai risultati
dell’intervento professionale; in tutti gli ambiti lo psicologo è tenuto a non superare le tariffe
ordinistiche massime, prefissate in via generale a tutela degli utenti.
Il testo unico della tariffa professionale degli psicologi, allegato sub lettera A al presente
codice, è costituito quale parametro per la valutazione della misura del compenso richiesto ai
sensi del comma 1 del presente articolo.
Per ogni modifica o abrogazione relativa all’allegato sub lettera A sarà competente il Consiglio
Nazionale dell’Ordine degli Psicologi ai sensi dell’art. 28 comma 6 lett. G) della L. 56/89, con
la procedura prevista dal vigente Regolamento interno, senza l’obbligo di cui alla lettera c) del
medesimo art. 28 comma 6
Articolo 24
Lo psicologo, nella fase iniziale del rapporto professionale, fornisce all’individuo, al gruppo,
all’istituzione o alla comunità, siano essi utenti o committenti, informazioni adeguate e
comprensibili circa le sue prestazioni, le finalità e le modalità delle stesse, nonché circa il
grado e i limiti giuridici della riservatezza.
Pertanto, opera in modo che chi ne ha diritto possa esprimere un consenso informato.
Se la prestazione professionale ha carattere di continuità nel tempo, dovrà esserne indicata,
ove possibile, la prevedibile durata.
Articolo 25
Lo psicologo non usa impropriamente gli strumenti di diagnosi e di valutazione di cui dispone.
Nel caso di interventi commissionati da terzi, informa i soggetti circa la natura del suo
intervento professionale, e non utilizza, se non nei limiti del mandato ricevuto, le notizie
apprese che possano recare ad essi pregiudizio.
Nella comunicazione dei risultati dei propri interventi diagnostici e valutativi, lo psicologo è
tenuto a regolare tale comunicazione anche in relazione alla tutela psicologica dei soggetti.
Articolo 26
Lo psicologo si astiene dall’intraprendere o dal proseguire qualsiasi attività professionale ove
propri problemi o conflitti personali, interferendo con l’efficacia delle sue prestazioni, le
rendano inadeguate o dannose alle persone cui sono rivolte.
Lo psicologo evita, inoltre, di assumere ruoli professionali e di compiere interventi nei
confronti dell’utenza, anche su richiesta dell’Autorità Giudiziaria, qualora la natura di
precedenti rapporti possa comprometterne la credibilità e l’efficacia.
Articolo 27
Lo psicologo valuta ed eventualmente propone l’interruzione del rapporto terapeutico quando
constata che il paziente non trae alcun beneficio dalla cura e non è ragionevolmente
prevedibile che ne trarrà dal proseguimento della cura stessa.
Se richiesto, fornisce al paziente le informazioni necessarie a ricercare altri e più adatti
interventi.
Articolo 28
Lo psicologo evita commistioni tra il ruolo professionale e vita privata che possano interferire
con l’attività professionale o comunque arrecare nocumento all’immagine sociale della
professione.
Costituisce grave violazione deontologica effettuare interventi diagnostici, di sostegno
psicologico o di psicoterapia rivolti a persone con le quali ha intrattenuto o intrattiene relazioni
significative di natura personale, in particolare di natura affettivo-sentimentale e/o sessuale.
Parimenti costituisce grave violazione deontologica instaurare le suddette relazioni nel corso
del rapporto professionale.
Allo psicologo è vietata qualsiasi attività che, in ragione del rapporto professionale, possa
produrre per lui indebiti vantaggi diretti o indiretti di carattere patrimoniale o non
patrimoniale, ad esclusione del compenso pattuito.
Lo psicologo non sfrutta la posizione professionale che assume nei confronti di colleghi in
supervisione e di tirocinanti, per fini estranei al rapporto professionale.
Articolo 29
Lo psicologo può subordinare il proprio intervento alla condizione che il paziente si serva di
determinati presidi, istituti o luoghi di cura soltanto per fondati motivi di natura scientificoprofessionale.
Articolo 30
Nell’esercizio della sua professione allo psicologo è vietata qualsiasi forma di compenso che
non costituisca il corrispettivo di prestazioni professionali.
Articolo 31
Le prestazioni professionali a persone minorenni o interdette sono, generalmente, subordinate
al consenso di chi esercita sulle medesime la potestà genitoriale o la tutela.
Lo psicologo che, in assenza del consenso di cui al precedente comma, giudichi necessario
l’intervento professionale nonché l’assoluta riservatezza dello stesso, è tenuto ad informare
l’Autorità Tutoria dell’instaurarsi della relazione professionale.
Sono fatti salvi i casi in cui tali prestazioni avvengano su ordine dell’autorità legalmente
competente o in strutture legislativamente preposte.
Articolo 32
Quando lo psicologo acconsente a fornire una prestazione professionale su richiesta di un
committente diverso dal destinatario della prestazione stessa, è tenuto a chiarire con le parti
in causa la natura e le finalità dell’intervento.
Capo III – Rapporti con i colleghi
Articolo 33
I rapporti fra gli psicologi devono ispirarsi al principio del rispetto reciproco, della lealtà e della
colleganza.
Lo psicologo appoggia e sostiene i Colleghi che, nell’ambito della propria attività, quale che sia
la natura del loro rapporto di lavoro e la loro posizione gerarchica, vedano compromessa la
loro autonomia ed il rispetto delle norme deontologiche.
Articolo 34
Lo psicologo si impegna a contribuire allo sviluppo delle discipline psicologiche e a comunicare
i progressi delle sue conoscenze e delle sue tecniche alla comunità professionale, anche al fine
di favorirne la diffusione per scopi di benessere umano e sociale.
Articolo 35
Nel presentare i risultati delle proprie ricerche, lo psicologo è tenuto ad indicare la fonte degli
altrui contributi.
Articolo 36
Lo psicologo si astiene dal dare pubblicamente su colleghi giudizi negativi relativi alla loro
formazione, alla loro competenza ed ai risultati conseguiti a seguito di interventi professionali,
o comunque giudizi lesivi del loro decoro e della loro reputazione professionale.
Costituisce aggravante il fatto che tali giudizi negativi siano volti a sottrarre clientela ai
colleghi. Qualora ravvisi casi di scorretta condotta professionale che possano tradursi in danno
per gli utenti o per il decoro della professione, lo psicologo è tenuto a darne tempestiva
comunicazione al Consiglio dell’Ordine competente.
Articolo 37
Lo psicologo accetta il mandato professionale esclusivamente nei limiti delle proprie
competenze.
Qualora l’interesse del committente e/o del destinatario della prestazione richieda il ricorso ad
altre specifiche competenze, lo psicologo propone la consulenza ovvero l’invio ad altro collega
o ad altro professionista.
Articolo 38
Nell’esercizio della propria attività professionale e nelle circostanze in cui rappresenta
pubblicamente la professione a qualsiasi titolo, lo psicologo è tenuto ad uniformare la propria
condotta ai principi del decoro e della dignità professionale.
Capo IV – Rapporti con la società
Articolo 39
Lo psicologo presenta in modo corretto ed accurato la propria formazione, esperienza e
competenza. Riconosce quale suo dovere quello di aiutare il pubblico e gli utenti a sviluppare
in modo libero e consapevole giudizi, opinioni e scelte.
Articolo 40
Indipendentemente dai limiti posti dalla vigente legislazione in materia di pubblicità, lo
psicologo non assume pubblicamente comportamenti scorretti finalizzati al procacciamento
della clientela.
In ogni caso, può essere svolta pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni
professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonché il prezzo e i costi complessivi delle
prestazioni secondo criteri di trasparenza e veridicità del messaggio il cui rispetto è verificato
dai competenti Consigli dell’Ordine. Il messaggio deve essere formulato nel rispetto del decoro
professionale, conformemente ai criteri di serietà scientifica ed alla tutela dell’immagine della
professione.
La mancata richiesta di nulla osta per la pubblicità e la mancanza di trasparenza e veridicità
del messaggio pubblicizzato costituiscono violazione deontologica.
Capo V – Norme di attuazione
Articolo 41
È istituito presso la “Commissione Deontologia” dell’Ordine degli psicologi l’“Osservatorio
permanente sul Codice Deontologico”, regolamentato con apposito atto del Consiglio Nazionale
dell’Ordine, con il compito di raccogliere la giurisprudenza in materia deontologica dei Consigli
regionali e provinciali dell’Ordine e ogni altro materiale utile a formulare eventuali proposte
della Commissione al Consiglio Nazionale dell’Ordine, anche ai fini della revisione periodica del
Codice Deontologico. Tale revisione si atterrà alle modalità previste dalla Legge 18 febbraio
1989, n. 56.
Articolo 42
Il presente Codice deontologico entra in vigore il trentesimo giorno successivo alla
proclamazione dei risultati del referendum di approvazione, ai sensi dell’art. 28, comma 6,
lettera c) della Legge 18 febbraio 1989, n. 56.