L’adolescenza è da sempre il periodo di transizione per eccellenza. Confinare questo stadio dello sviluppo nella fascia di età 13-19, gli anni “teen” secondo la cultura anglosassone, è piuttosto riduttivo. Tale periodo è sempre caratterizzato da un sommovimento e da una turbolenza che ognuno vive secondo un ritmo individuale scandito dalla propria relativa precocità o al contrario dai propri indugi.
Tra coloro che stanno leggendo questa pagina, chi ha già conosciuto questo periodo, ricorda il lungo percorso che dalla pubertà lo ha portato alla vita adulta, passando attraverso prove e ostacoli che inevitabilmente portano con sé crisi interiori da dover affrontare. Crisi interiori che si contraddistinguono per un’instabilità di fondo difficile da esprimere anche per i ragazzi, ma che se ben fronteggiate possono permettere un’evoluzione in termini di crescita psicologica.
Gli adolescenti contemporanei corrono, tuttavia, il rischio di veder “spente” le loro crisi adolescenziali, vista l’attuale tendenza ad utilizzare facilmente psicofarmaci per risolvere problemi esistenziali. Negli Stati Uniti, per esempio, il consumo di psicofarmaci in adolescenza sta raggiungendo picchi impensabili fino a qualche anno fa: il National Center for Health Statistics riporta che il 5 per cento degli americani tra i 12 e i 19 anni usano antidepressivi, se a ciò sommiamo il 6 per cento della stessa fascia d’età che usa invece farmaci contro il cosiddetto Adhd, il disordine da deficit d’attenzione e iperattività, arriviamo a notare come più di 1 adolescente su 10 ricorra all’uso di psicofarmaci. Ciò ha fatto sì che nel panorama d’oltreoceano alcuni studiosi abbiano tranquillamente iniziato a parlare apertamente di medication generation. Questo modo di procedere, medicalizzando tutto, dalla distrazione a scuola alla tristezza, rischia di sovrastimare le diagnosi di psicopatologia in adolescenza. Così, un giovane malinconico o ripiegato su sé stesso può trasformarsi in depresso; un ragazzo vivace in iperattivo; la timidezza in fobia sociale. Questa tendenza alla medicalizzazione, anche se non disponiamo di dati così precisi in materia, si sta pian piano affermando anche nel nostro paese. Ciò purtroppo accade perché si confondono, come ha ben spiegato Massimo Ammanniti, studioso italiano di “psicopatologia adolescenziale”, in una recente intervista rilasciata ad un quotidiano nazionale, i fisiologici stati d’animo e le difficoltà adolescenziali con stati patologici, cosa evidentemente ben diversa. Detto in altro modo, l’adolescenza con troppa facilità, anziché essere considerata una fase fisiologicamente difficile, viene equiparata ad una malattia.
Questa tendenza alla medicalizzazione, più o meno selvaggia, sembra essere stata introiettata dai nostri giovani. È cronaca quotidiana che gli adolescenti fanno spesso uso di sostanze per mettere a tacere quegli stati d’animo che provocano disagio: può trattarsi di alcool, di droghe, o di un uso eccessivo di psicofarmaci. Non a caso Schmit e Benasayag (2011) definiscono l’attuale adolescenza di molti ragazzi/e l’epoca delle “passioni tristi”.
Come mai accade tutto ciò? Ovviamente le sostanze costituiscono la strada più breve, sia per gli adolescenti che per gli adulti che li circondano, per illudersi di stare ad affrontare con successo il difficile compito di crescere. Questo tipo di approccio all’adolescenza rischia però di far diventare i ragazzi degli analfabeti emotivi: “se per ogni malessere o problema si danno sostanze che placano lo stato d’animo, i giovani diventano analfabeti del loro animo”, dice ancora Ammaniti (2012).
Compito degli adulti sarebbe invece quello di cimentarsi ogni giorno nell’ascolto, nel dialogo, nello scontro, per aiutare i ragazzi a sviluppare quel tipo di intelligenza che in termini tecnici si chiama “Intelligenza Emotiva”: un aspetto dell’intelligenza legato alla capacità di riconoscere, utilizzare, comprendere ed elaborare in modo consapevole le proprie ed altrui emozioni. Crescere emotivamente porta l’adolescente ad entrare maggiormente in relazione con se stesso e con l’altro, e a muovere i primi passi l’entrare a pieno titolo nel mondo adulto.
Bibliografia
Ammanniti M. (2012): L’adolescenza non può essere una malattia, servono diagnosi accurate e maggior dialogo, articolo tratto da La Repubblica dell’ 11/07/2012.
Schmit G., Benasayag M. (2011) : L’epoca delle passioni tristi, Universale Economica Feltrinelli (VII ed.).