La psicoterapia è una forma di aiuto che passa attraverso una relazione, fatta di empatia, di accoglienza, di sostegno, di rispetto dei tempi psicologici del singolo individuo, con un esperto in difficoltà psicologiche. Tale aiuto è molto utile dinanzi a problemi legati a stati di ansia e panico più o meno invalidanti, con forme di depressione più o meno pesanti, con difficoltà nell’instaurare relazioni affettive importanti, con i disturbi del comportamento alimentare, nei momenti di critici della vita, quali una separazione, un divorzio, o la perdita di una persona cara, e più in generale in tutte quelle situazioni in cui si avverte un senso di inutilità e di vuoto.
Tante persone, comunemente, ritengono che “fare psicoterapia” implichi essere malati di mente, folli, o con qualche rotella fuori posto. Nulla di tutto ciò. La psicoterapia può talvolta misurarsi anche con disturbi gravi della personalità, ma nella maggior parte delle circostanze fare psicoterapia equivale a dire “prendersi cura di sé”. Le situazioni sopra citate sono infatti un qualcosa che chiunque di noi può trovarsi ad affrontare in momenti specifici della vita, e non un qualcosa di anomalo o eccezionale.
La psicoterapia, metaforicamente parlando, è un percorso, un viaggio nell’anima. E’ un rimettere insieme pezzi e fili della propria storia, è uno scoprire, o riscoprire, parti di sé dimenticate, è un valorizzare qualcosa caduto nel dimenticatoio, è un divenire consapevoli di come il “quello che eravamo” influenzi il “quello che siamo”, è un intravedere possibilità nuove. In parole diverse, è un trovare la propria strada in un momento in cui il proprio equilibrio sembra essere venuto un pochino meno. La psicoterapia junghiana, l’orientamento teorico-pratico in cui mi riconosco maggiormente, non intende “normalizzare” nessuno, si propone bensì di aiutare una persona nel riuscire ad esprimere e vivere compiutamente la propria soggettività.
Talvolta questo viaggio è molto breve, qualche volta breve, e altre volte un po’ più lungo: ciò solitamente dipende sia dalla situazione di partenza, sia dal “passo” con cui riusciranno a procedere la coppia terapeuta-paziente. Tuttavia, forse, più che chiedersi la durata del viaggio, occorrerebbe domandarsi cosa può dare questo viaggio, perché ritrovare la propria strada è, spesso, un riprendersi la propria vita.